CINEMA & SALUTE
Contagion, Csi, Grey’s Anatomy
La fiction fa scuola (di medicina)
Sceneggiature accuratissime grazie
alla consulenza sistematica di esperti autorevoli
MILANO – I primi venti minuti di Contagion, il film di Steven Soderbergh presentato fuori concorso al Festival del Cinema di Venezia, sono una perfetta lezione di igiene: c’è da scommettere che chiunque abbia visto il film, appena uscito dal cinema, si sia precipitato a lavarsi le mani e abbia capito quanto sia fondamentale farlo più che ascoltando le ricorrenti raccomandazioni dei medici. Mentre la storia procede, lo spettatore segue passo passo la caccia al misterioso virus responsabile dell’epidemia che minaccia l’umanità, imparando nozioni di immunologia e virologia: come il virus entra nella cellula, come deve essere coltivato perché si possa sperare di trovare un vaccino, che cos’è il tasso di riproduzione virale e come si propaga l’infezione. Dettagli precisi, immagini degne di un trattato medico.
Ma c’è un motivo: gli esperti dei Centers for Disease Control and Prevention di Atlanta, negli Stati Uniti, oltre a essere protagonisti della pellicola lo sono stati anche dietro le quinte, come consulenti per la sceneggiatura. E il dialogo fra medici, scienziati e uomini di cinema è sempre più frequente, come hanno spiegato i chimici americani, riuniti a Denver per il congresso dell’American Chemical Society, durante un evento speciale dedicato proprio alla “Scienza sugli schermi di Hollywood”: qualche anno fa l’accuratezza delle scene di Contagion era impensabile, oggi serie come il “Dr. House” potrebbero essere studiate dai futuri medici per imparare come si fanno le diagnosi. Se da un lato la consulenza degli esperti serve ai registiper rendere più credibili le loro storie, dall’altro anche gli scienziati si sono ormai resi conto dell’importanza del cinema come veicolo del loro lavoro. Al congresso in questione l’ha spiegato bene Donna Nelson, chimico al Mit di Boston e consulente, oltre che attrice per un cameo, per la serie televisiva “Breaking Bad” (in Italia “Reazioni collaterali”). «Oggi, — ha detto la Nelson —gli sceneggiatori sono molto attenti ai suggerimenti degli esperti, che vengono interpellati anche per ideare le trame. Ciò significa poter presentare la scienza e la medicina come realmente sono, aiutando il pubblico a capirne l’importanza e a imparare qualcosa in più. Serie come “CSI” sono un esempio perfetto di come sia possibile creare storie appassionanti senza rinunciare all’accuratezza dei dettagli e rendendo perfettamente comprensibili al pubblico concetti anche molto complessi».
“CSI” e, in Italia, telefilm come “RIS Delitti imperfetti” hanno fatto sì che oggi moltissimi sappiano che cos’è un test del Dna o come si fanno autopsie o test tossicologici. Anche Roberto Tersigni, chirurgo al San Camillo Forlanini di Roma appassionato di cinema (quest’anno ha sceneggiato e girato un documentario, assieme al regista Marco Spagnoli, dall’eloquente titolo “Cinema e Medicina, dal Gladiatore al Dr. House”) conferma che oggi il cinema è il mezzo più potente per arrivare al maggior numero di persone: «Un messaggio veicolato sul grande o piccolo schermo arriva in modo chiaro a un grande pubblico, per questo l’accuratezza scientifica di ciò che propongono cinema e Tv non è irrilevante. Prendiamo ad esempio il Dr. House: oltre a essere la miglior lezione per insegnare agli studenti di medicina quanto sia difficile formulare una diagnosi, è illustrativo anche per i pazienti, che così possono capire quanto sia complesso il lavoro del medico e quanto sia importante la scelta di un professionista in grado di andare a fondo dei problemi».
«Il cinema può aiutarci a far “passare” messaggi di prevenzione facendoli arrivare alle persone meglio di qualsiasi discorso fatto dal medico, perché coinvolge le nostre emozioni: quello che vediamo sullo schermo si dimentica meno facilmente, se ci colpisce e ci interessa» aggiunge Antonio Raviele, direttore del Dipartimento Cardiovascolare dell’ospedale di Mestre. Anche lui un cultore della settima arte, tanto da aver organizzato una sorta di Festival del Cinema di Venezia collaterale, in contemporanea con il Congresso internazionale sulle aritmie a Venezia dal 9 al 12 ottobre (si veda il box), per richiamare l’attenzione sull’importanza della prevenzione cardiovascolare. «Abbiamo chiesto ad artisti internazionali di rappresentare in un cortometraggio come le emozioni influenzino il battito del nostro cuore — dice Raviele —. Con l’Associazione Lotta alla Fibrillazione Atriale stiamo facendo una campagna di sensibilizzazione per insegnare a tutti come sentire il loro ritmo cardiaco e accorgersi di eventuali aritmie. L’HeArtBeats Venice Film Festival ci servirà a sottolineare con maggior forza il messaggio. Naturalmente l’accuratezza medica dei cortometraggi in gara non sarà secondaria: proprio perché il cinema può penetrare meglio di altri mezzi nell’immaginario collettivo, contribuendo così a fare davvero cultura, è essenziale che quanto viene rappresentato sia corretto».
Non è sempre stato così: Tersigni ricorda le lastre radiografiche messe al contrario in numerosi film e telefilm del passato. «Un errore tipico, e io mi domandavo perché non avessero chiesto un semplice parere a un qualunque medico, per evitare l’errore — osserva il chirurgo —. Anche serie più recenti sfiorano talvolta l’inverosimile, pur essendo in genere abbastanza precise: in “E.R”, ad esempio, può capitare che un chirurgo nello stesso episodio esegua un trapianto di cuore e poi un intervento al fegato, o magari un’operazione di neurochirurgia. Poco probabile che accada nella realtà, o ci sarebbe da preoccuparsi parecchio per la sorte dei pazienti. Immagino che a uno spettatore non medico molti errori sfuggano, e magari a tanti non interessa neppure granché, perché alla fine ci si concentra sulla storia: le sceneggiature di “E.R.” o di “Grey’s Anatomy”, in fondo, puntano tutto sull’azione drammatica».
Vale a dire: non bisogna dimenticare che lo scopo principale dei film è divertirci ed emozionarci, e poi, magari, educarci anche un po’. Finora però abbiamo parlato perlopiù di film e serie americane: appurato che di là dall’oceano registi e sceneggiatori chiedono sempre più spesso aiuto ai medici per non dire strafalcioni, le nostre fiction possono competere con quelle Usa quanto ad accuratezza? «No — risponde Tersigni —. Da noi per le sceneggiature ci si serve meno spesso di consulenti esperti. L’approccio è diverso, e in linea di massima siamo molto ancorati agli stereotipi: il primario vanesio o cinico, l’assistente che non farà mai carriera ed è invece una pasta d’uomo e così via. Una rappresentazione sommaria dei tipi umani, figurarsi dei casi medici».
Elena Meli
19 settembre 2011 15:36© RIPRODUZIONE RISERVATA