Ci sono biografie che – se lette – non rendono giustizia e quella di Giovanna Cau è una di queste:
avvocata, agente cinematografica, staffetta partigiana, donna impegnata in politica, consigliere comunale di Roma…sono definizioni riguardanti momenti della sua esistenza che le stanno “strette” soprattutto per chi l’ha conosciuta e apprezzata.
Giovanna Cau era una donna, una “grande” donna capace di bistrattare, terrorizzare chiunque, nonostante il suo fisico minuto e il suo bastone che veniva né più, né meno brandito come un prolungamento delle sue parole: un oggetto ‘animato’ che la rappresentava tanto, quanto gli abiti che, sempre elegantissima, sfoggiava.
Ho conosciuto Giovanna Cau a cena dai miei suoceri: l’avevo vista e ascoltata in tanti eventi legati al cinema, ma non le avevo mai parlato direttamente. Non avevo motivo di farlo. Quella sera, invece, a Trastevere ero rimasto subito ipnotizzato dalla sua verve, dalla sua simpatia, dalla sua capacità di guardare alla politica e al mondo con impegno e divertimento. Mi incuriosiva il suo essere in grado di zittire tutti con una voce resa roca dal fumo, mettersi a urlare e litigare per questioni etiche ‘non negoziabili’. Era l’espressione e la protagonista di un mondo che, oggi, non c’è più e che bisognava provare a raccontare: ricordo che quando le proposi di realizzare un documentario su di lei, su suggerimento di mia moglie Orsola, figlia del suo medico e amico Antonio Severini, lei era molto scettica. Ma le mie intenzioni erano chiare: trovavo assurdo che di lei non esistessero foto, interviste, dichiarazioni. Mi sembrava incredibile che i miei figli potessero conoscere ogni dettaglio della vita di Lady Ga-Ga, ma non sapere nulla di una donna che aveva segnato il Novecento come collaboratrice di Fellini, Pietrangeli, Scola, Sophia Loren e tantissimi altri che qui sarebbe troppo lungo elencare e che aveva lottato per dare il voto alle donne nel 1948.
Come dimostrano anche le bruttissime foto pubblicate in rete, nessuno, mai, aveva pensato di raccontare la sua storia. E’ ovvio che sarebbe stato difficile farlo: rifiutava le interviste, figurarsi un film sulla sua vita… Aveva fatto della riservatezza uno stile e della discrezione un obbligo a sé stessa e alle persone che la circondavano. D’altronde il suo era un mondo fatto di Stelle vere. Era l’anti Instagram fatta persona. Quando il Venerdì di Repubblica volle fare un pezzo su di lei all’uscita del documentario i colleghi non credevano che di Giovanna Cau esistessero solo 14 foto e con Marcello Mastroianni, una sola…Un punto di forza che la facevano rispettare da parte di tutti: ricordo che – in attesa di andare in diretta insieme a Laura Boldrini a Sky Tg24 – nel camerino incontrò l’allora Ministro Fornero con cui ingaggiò immediatamente un dibattito politico molto intenso.
Credo di averla convinta a fare questo documentario perché, oltre in virtù della moral suasion di mio suocero e dell’altro suo grande amico, nonché mio mentore, Felice Laudadio, le dissi chiaramente che a me non interessava fare un ‘coccodrillo’, avendo perso i miei genitori a vent’anni, avevo e ho un rapporto con le età molto disincantato e incerto. Per me lei rappresentava la vita e volevo raccontare la sua vitalità straordinaria. Scaramanticamente aveva preparato il suo necrologio molto tempo prima. Oggi, una decade più tardi, posso dire di essere felice di averla convinta e avere rapidamente coinvolto tre amici Paolo Monaci, Riccardo Grandi e Luca Lucini a produrlo, nonostante nessun canale lo avesse commissionato.
Giovanna Cau, così, ha raccontato la sua grande e straordinaria storia di protagonista del cinema italiano, coinvolgendo amici registi come Ettore Scola, Carlo Lizzani, Giuliano Montaldo, ma anche guidandomi all’interno di mezzo secolo e passa di storia dello studio che ha avuto dal 1947 fino al 2015. Memorabili le sue battute, fulminanti le sue idee, i suoi scherzi che proseguirono anche durante la promozione del film.
Non fu facile farle accettare tutto quello che avevamo fatto: Tonino Guerra in una battuta dice: “Non si può capire il cinema italiano se non si conosce Giovanna Cau”. Una frase che la fece infuriare e che le sembrava ‘troppo’. Quando vide il montaggio mi disse “Dovevi fare notare a Tonino che stava esagerando (Non disse così, l’espressione fu molto più cruenta, ma consegniamo alla Storia il senso…) “ e io risposi che non potevo correggere uno dei più grandi poeti e sceneggiatori del Novecento italiano… insomma, la modestia era per lei una sorta di mantra…
Uno dei miei più grandi crucci sul set era che ogni giorno mi chiedeva la sceneggiatura e io le spiegavo che essendo un documentario non c’era un copione e che lei non era un’attrice.
Ovviamente quando le furono consegnati prima il Globo d’oro della Stampa Estera dalla Presidente Elisabeth Missland eppoi il premio come Migliore attrice di documentario da Laura Delli Colli, la prima cosa che fece fu telefonarmi e dirmi “Visto che avevo ragione: se facevo l’attrice ci voleva una sceneggiatura…” Avevi ragione tu Giovanna e solo una come te, poteva morire il 7 marzo, quattro giorni prima di compiere novantasette anni e poche ore prima dell’8 marzo cui tenevi tanto e di cui, anche questa volta, sei l’assoluta protagonista.